Con anni di ritardo Renzi avanza delle correzioni al jobs act.
Questo è l’esplicito riconoscimento che quello che entrò in vigore, mancò di consultazioni sindacali, e finì per costringere ad emigrare diversi parlamentari ad uscire dal P.D. ed averli ora in competizione elettorale anziché uniti in una coalizione.
Già da tempo Renzi aveva parlato di una salario minimo orario. Queste correzioni potevano essere state introdotte in prima istanza se Renzi e i suoi ministri si fossero interessati a studiare di ciò che era stato stabilito nel jobs act britannico a metà degli anni 70, dal governo Harold Wilson, non modificate dal successivo governo Margaret Thatcher. Si riporta la traduzione di Google translator:
“La maggior parte delle persone deve lavorare. Devono guadagnare denaro per almeno cibo, vestiti e una casa o una casa in cui vivere, e possono farlo solo trovando un lavoro o sposando qualcuno che ha un lavoro. Non è sempre facile trovare lavoro: nella Depressione in Gran Bretagna nei primi anni ’30, ad esempio, quasi una persona su tre che cercava un lavoro non poteva trovarne uno. In Gran Bretagna esiste un sistema di pagamenti settimanali da parte dello Stato ai disoccupati: nel 1975 il minimo che un disoccupato ha ricevuto era di circa £ 10 a settimana. Questo pagamento si chiama Social Security o, in gergo, «dole», quindi un uomo senza lavoro è a sussidio.” Leggi tutto “Le correzioni al Jobs act di Renzi”