Spread e speculazione finanziaria: Due facce della stessa medaglia

La crisi politica, ovvero la dilazione per raggiungere un accordo fra i partiti usciti con una maggioranza alle elezioni del 4 marzo, fa crescere lo spread della speculazione finanziaria.

Il termine speculatore è, o meglio era, utilizzato fino a quando esisteva l’economia reale ovvero quando l’operatore di mercato acquistava beni e prodotti in presenza di offerta eccedente la domanda e prezzo in forte calo, che poi avrebbe immesso sul mercato quando la domanda cresceva e l’offerta era carente e così faceva crescere il prezzo dei beni e prodotti. Quindi aveva una funzione economica di calmierare il mercato.

L’economia finanziaria nel 2008 con i futures investiti sul petrolio mise fuori mercato l’acquisto del petrolio da parte dell’economia reale. Infatti su ogni barile di petrolio vi erano investiti circa 200 titoli acquistati  in agosto a 147$ ed erano contrattati vendibili a settembre a 168$. Incremento del 10% in un solo mese!. <http://antonellocini.altervista.org/economia.pdf>

Lo spread è una percentuale maggiore degli interessi sugli investimenti a dieci anni in bund tedeschi e btp decennali italiani . Questa valutazione è riservata alle agenzie di rating .   Quindi lo Stato italiano paga interessi più elevati agli investitori sui btp  della Germania sui bund. In pratica questa maggiorazione va a beneficio delle banche italiane, che sono i maggiori investitori dei btp. Le stesse banche applicano lo stesso spread anche ai prestiti che concedono ai privati, con la conseguenza che fare investimenti in Italia è più costoso di farlo in Germania, con il paradosso che la banca europea eroga crediti alle stesse condizioni a tutti gli stati europei.

Il nodo politico da sciogliere in sede europea è proprio quello di salvaguardare l’economia reale dai condizionamenti imposti  dall’economia finanziaria. Dovranno essere presi provvedimenti legislativi dalla politica, ovvero con leggi emanate da questa.

Si fosse eliminato o ridotto lo spread in Italia, come avviene in Giappone con la fissazione per legge dell’interesse bancario per tutte le banche che operano nel territorio giapponese, lo stato italiano potrebbe risparmiare dai 50 ai 70 miliardi annui dal bilancio dello Stato.